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I Principi Sambiase

Sul finire del sec. XVII il feudo di Campana pervenne alla famiglia Sambiase dopo che tra il 1678-1694 era appartenuto ai Labonia di Rossano. La famiglia Sambiase è una diramazione dell'illustre e potente casato dei Sanseverino. Il cambiamento di nome si deve a Ruggero Sanseverino, signore di Martorano, che lo assunse dal feudo di Sambiase in Calabria, da lui posseduto dal tempo di re Guglielmo il Malo.

A partire da lui, la sua discendenza ebbe un'ampia ramificazione affermatasi dovunque in Calabria. Noi seguiremo il ramo cosentino approdato a Campana, partendo da Scipione, che da Ippolita Campolongo ebbe Giuseppe Ruggero, padre di Bartolo, che acquistò dai Labonia

la Terra

di Campana e Bocchigliero.


Giuseppe Ruggero nel 1666 sposò Vittoria Mandatoriccio, figlia di quel Teodoro Mandatoriccio, che aveva ereditato dal padre Giovan Michele le terre di Crosia, Caloveto, Calopezzati e Pietrapaola. Vittoria aveva portato in dote al Sambiase 4000 ducati e, alla morte del fratello Francesco, morto senza figli il 17 gennaio 1676, ereditò in aggiunta tutti i feudi di famiglia. In verità Francesco, con testamento rogato da Not. Vitantonio Criteni di Rossano, aveva lasciato "herede universale et particulare sopra tutti i miei beni mobili, stabili, burgensatici, e feudali e semoventi" il nipote Mario Toscano "con patto espresso e condizione, che debbia mettervi il mio cognome e casa Mandatoriccio, e lasciare il suo cognome Toscano". Vittoria, a cui il fratello aveva lasciato 6000 ducati da pagarsi in 12 anni, dal momento che Mario Toscano non aveva ottemperato alla clausola del cambiamento del cognome, impugnò il testamento. Il S. Real Consiglio, intervenuto per dirimere la vertenza, riconobbe a Vittoria Mandatoriccio l'eredità dei feudi come sorella e parente diretta e a Mario assegnò una somma di duc. 16OOO da pagarsi dalla zia. Non potendo pagare l'ingente somma, Vittoria Mandatoriccio con una transazione ottenne di pagare a rate il dovuto, che, comunque, restò sempre attrassato. Ai primi dell'Ottocento la famiglia Toscano chiese ed ottenne come corrispettivo a saldo del debito la tenuta dell'Arso, in territorio di Mandatoriccio. Alla morte di Giuseppe Sambiase, avvenuta a Calopezzati il 17 gennaio 1693, erede universale fu il figlio Bartolo Mario , come si desume anche dal relevio di duc. 744 da lui pagato alla Regia Camera il 30 giugno 1698. Nato nel 1673, oltre ad ereditare i feudi di Crosia, Calopezzati, Pietrapaola, Caloveto e Mandatoriccio, Bartolo il 12 novembre 1694, con Istrumento del Not. Domenico De Vivo di Napoli, come è stato già ricordato, acquistò da Alessandro Labonia di Rossano le Terre di Campana e Bocchigliero per duc. 64983 e grana

42. L

'atto ebbe il regio assenso il successivo 9 dicembre e venne ratificato l'8 gennaio 1695 per mano del Not. Girolamo Scalerci di Cariati. Il 10 aprile 1696 dal re Carlo II di Napoli Bartolo ottenne il titolo di Principe di Campana, che restò in eredità alla famiglia. Pur avendo sposato prima Francesca Pignone del Carretto, dei marchesi di Oriolo, ed in seconde nozze Chiara Filomarino, Bartolo morì senza figli il 30 agosto 1705. Il Principato passò al fratello Felice Nicola . Nato nel

1674 a

Calopezzati, il 20 settembre 1706 ebbe l'intestazione delle Terre di Campana e Bocchigliero con

la Catapania

, nonchè Crosia, Caloveto e Pietrapaola con Zecca e Calopezzati con Zecca e Portulania e con le seconde e terze cause. Con privilegio dato in Vienna il 5 novembre 1718, Felice Nicola fu nominato Grande di Spagna di 1^ classe, che significò l'aggregazione dei Sambiase alla Nobiltà della Piazza napoletana di Portanova. Morì il 24 giugno

1724 a

Napoli, dove venne seppellito nella chiesa del Carmine maggiore. Dalla moglie Clelia Cavalcanti, dei duche di Caccuri, ebbe il figlio Giuseppe Domenico , che ereditò il Principato con le annesse giurisdizioni, previo il pagamento anticipato del "relevio" per un ammontare di duc. 2052. Il feudo restò nelle sue mani per oltre sessanta anni, facendone uno degli Stati più organizzati e meglio amministrati del Regno di Napoli. Nel

1731, in

forza di una transazione di 2500 ducati, acquistò dal Fisco diverse difese della Sila, tra cui quelle di S. Salvatore, Tre Cerze e Lesa o Isco Serrato. Alla sua morte, avvenuta a Napoli il 9 febbraio 1776, gli successe il figlio Vincenzo , nato nel 1754 dal matrimonio con Eleonora Caracciolo, dei duchi di Vietri. Sposò la sorella del Card. Fabrizio Ruffo, Giovanna Ruffo-Colonna, da cui ebbe 3 figli: Giustiniana, Giuseppe Maria e Ferdinando. Vincenzo morì a Napoli il 21 novembre 1784, per cui gli successe il figlio Giuseppe Maria . L'intestazione ci fu il 10 dicembre 1789. Il complesso feudale dei Sambiase comprendeva con Giuseppe Maria 7 centri abitati con 9246 abitanti ed una superficie di Kmq 358,39. Morì in giovane età e senza figli nel 1797, per cui il feudo passò al fratello Ferdinando. Questi è nato a Calopezzati il 6 maggio 1774 e non 1776, come sostenuto dalla generalità degli storici. L'anno, infatti, appare evidente dal suo atto di Battesimo, avvenuto nel Castello il 15 giugno 1774 per la precarietà della sua salute. Successe "de iure" al fratello, anche se non prese l'intestazione. Di fatto fu l'ultimo Principe di Campana, colpito nel 1806 dalle leggi eversive della feudalità. Nipote del Card. Fabrizio Ruffo, da ragazzo frequentò il R. Collegio della Nunziatella di Napoli iscrivendosi nel 1796 fra le milizie col grado di soldato volontario di Cavalleria. Nell'aprle 1797 venne promosso tenente Colonnello nel Reg. Real Ferdinando. Cessate le turbolenze antiborboniche, venne nominato Presidente del Tribunale militare. Nel 1809 Murat, conscio del suo valore, gli affidò il comando delle Guardie d'Onore. Nella campagna di Russia si distinse nelle battaglie di Osmiana in Polonia, dove fu gravemente ferito, e di Vilna, meritando nel 1812

la Croce

della Legion d'Onore ed il grado di Maresciallo di campo. A Tolentino, colpito da una palla di cannone, riportò una grave ferita alla gamba. Al ritorno dei Borboni, per il suo valore indiscusso, venne chiamato ad addestrare

la Gendarmeria

ed i fucilieri reali. Nel 1819, con dispaccio del 23 aprile, Re Ferdinando di Napoli lo nominò Cav. Comm. dell'Ordine di S. Giorgio, da poco istituito. Lo stesso anno con Florestano Pepe, comandante supremo dell'esercito borbonico, conquistava la città di Palermo, ottenendo il 10 novembre la nomina a Cavaliere di Gran Croce e

la Commenda

dell'Ordine Militare di S. Ferdinando. Trasferito a Palermo come Ispettore generale della Gendarmeria reale, vi morì il 14 marzo 1830. Con lui, essendo celibe e senza figli, si spense il ramo maschile dei Sambiase principi di Campana, anche se di fatto con le leggi eversive del

1806 a

Ferdinando era rimasto solo il titolo di Principe. Durante l'assenza di Ferdinando per le numerose campagne di guerra, il Principato era gestito da Carlo Messanelli, sposo di Carlotta, figlia adottiva di Francesco Ruffo di Baranello e di Enrichetta Sambiase, sorella minore di Ferdinando.



1. Diritti e Patronati dei Sambiase

Insieme al diritto del "mero e misto imperio" (giurisdizione sulle prime, seconde e terze cause), e al diritto della Catapania, Zecca e Portulania, i Sambiase godevano di tutte le altre prerogative feudali, tra cui quella di dare annualmente in appalto nei singoli paesi dello Stato le patenti di Erario, Mastrodattia civile e criminale, Bagliva, Dogana e Mastrogiurato. Oltre a questi diritti non mancavano altre prerogative particolari, come ad esempio il diritto di pesca con sciabica e quello chiamato "testa di pesce", in base al quale se il pesce pescato superava i 4 rotoli di peso, la testa spettava al titolare del diritto. Detto "ius" nel mare della zona era rivendicato anche dal baiulo del Principe di Rossano. Nel luglio 1697 si verificò che tale Tommaso Nucara di Crosia nei pressi della Torre di Trionto aveva pescato una ricciola di 10 rotoli circa. Denunciata la cosa al Capitano Andrea Turiaci di Rossano, questi, "in conformità delli Privileggi, et antico solito", tagliò la testa al pesce versandola al Mag. Domenico Labonia, affittuario di detto "ius". Della cosa si lamentò Bartolo Sambiase, duca di Crosia, rivendicando il suo diritto in quanto la pesca era avvenuta in territorio di sua pertinenza. La vicenda si concluse con un compromesso che portò il Cap. Turiaci a chiedere, per amore di pace, scusa al Sambiase, anche se il gesto per principio venne poi riprovato dall'Erario del Principe Borghese, in quanto "non vi bisognavano queste soddisfattioni". A Campana i Sambiase, oltre ai comuni diritti feudali, godevano di alcune difese comunali, tra cui

la Srrra

di Maio, Forcine della Portara, Serra dell'Acero, Acqua dell'Auzino. In verità, l'Università di Campana, per pagare alcuni debiti attrassati al fisco, con atto del 23 maggio 1695, aveva venduto dette terre comunali per duc. 5500 ad un certo Pietro Podella, con la clausola, però, che dovessero essere retrovendute all'Università per lo stesso prezzo pagabile in 3 rate. Il Podella, invece, il 23 novembre 1695 cedette i suoi diritti su quelle terre a Bartolo Sambiase per duc. 6197 e grana 33, il cui terzo, però, pari a duc. 1803 e grana 33, andò alle casse pubbliche del paese. Anche sulle difese demaniali Foresta, Manche e Muscosaggio i Sambiase reclamavano il diritto di "esazione della terza parte", in quanto tale diritto era stato acquistato dal barone Labonia il 12 novembre 1694 all'atto della compera del feudo di Campana. Il reclamo nella vertenza giudiziaria del 1808 tra il Comune di Campana ed il Principe Ferdinando Sambiase venne contestato davanti alla Commissione feudale e al Regio Procuratore Generale. Questi nella sentenza del 4 ottobre 1809, alla luce degli atti esibiti, sentenziarono dette terre "essere territori demaniali aperti, ne' quali appartiene a' cittadini di Campana l'uso civico anche per causa di commercio tra cittadini, da aversene ragione nella divisione di demani da farsi". Nella stessa sentenza è riconosciuta al Principe la proprietà di "alcune botteghe siatuate nel luogo ove si fa la fiera nominata Ronza". Tanto risultava dal Catasto onciario del 1743. E dallo stesso Catasto risulta che in tale anno i Sambiase vantano a Campana beni burgensatici per un capitale di duc. 4000, su cui l'Univesrità paga un censo annuo di duc. 200. Anche in campo ecclesiastico i Sambiase vantano nel loro Stato diversi diritti e patronati. A Calopezzati, Campana, Crosia e Mandatoriccio godevano del "ius" di designare il sacerdote per la carica di arciprete. A Mandatoriccio, in particolare, il diritto era fondato sul fatto che era stato proprio il principe Felice Nicola Sambiase ad ottenere dall'arcivescovo Andrea Adeodato la promozione ad Arcipretura della chiesa dei Ss. Pietro e Paolo. Allo scopo ne aveva costituito la dote patrimoniale cedendo, con atto del 1° giugno 1708 redatto dal Not. Domenico Susanna di Belvedere, un mulino ubicato nel Vallone del Forno, un terreno alberato e coltivato ad oliveto sito in località Milo con terre aratorie confinante con la via pubblica e con terre dell'Arcipretura di Pietrapaola. In conseguenza di ciò, si legge nell'atto, al principe venne concesso il "ius praesentandi Parochum Archipresbiterum nuncupatum, non solum in hac prima vice, sed quoties casus vacatione contingerit". Primo arciprete fu D. Domenico Verrina, cui successero D. Antonio Talarico, D. Carlo Antonio Casacchia (1768-1779), D. Felice Talarico (1779-1792), D. Giulio Gallo (1792), D. Giacomo Vorcaro (o Vorcano). A Mandatoriccio inoltre i Sambiase provvedevano alla manutenzione della chiesa S. M. delle Grazie, "extra moenia". A Campana, oltre al "ius patronatus" sopra citato, i Sambiase avevano fondato un legato di messa, per cui l'arciprete,il 28 agosto di ogni anno, era tenuto a celebrare una messa parata con canto in suffragio del principe Bartolo. Inoltre, dallo stemma che vi è apposto, dono votivo della famiglia era la tela della Regina Mundi, un tempo nella chiesa della Madonna delle Grazie ed oggi in S. Antonio.



2. Attività commerciali

La famiglia Sambiase, soprattutto nel lungo regno di Giuseppe Domenico (1724-1776), seppe organizzare lo Stato con spirito illuminato valorizzando tutte le risorse disponibili. Polivalente negli interessi, non venne lasciato al caso nessuno spazio fruibile. Se ne incrementò particolarmente il commercio del grano, della pece, della manna, della seta, dei latticini, che caratterizzarono l'attività produttiva e commerciale dei Sambiase e che, presto sfondò la piazza di Napoli con notevole vantaggio del patrimonio. La produzione del grano era particolarmente abbondante nella tenuta dell'Arso, dove era situato anche uno degli approdi di imbarco, oltre naturalmente a quelli di Rossano, Calopezzati e Cariati. Da qui il grano veniva spedito via mare per Napoli, dove veniva immesso nel mercato più vasto. Parte del grano veniva dato in prestito agli stessi fittavoli delle terre feudali con una resa di prodotto in ragione di un interesse che poteva arrivare, a seconda dell'estensione del campo, anche fino al 25-30%. Negli Stati feudali di Crosia e Campana il rapporto era regolato dal "Bando" del principe Felice Nicola (1705-1724), che testualmente ordinava:



"... Quali grani e vettovaglie, così vecchi come nuovi, di nostri Ministri, Magnifici Erari, Magazzinieri, ed esattori, come da ciascuna altra persona di detti nostri Stati di qualsivoglia grado, e condizione, si debbano rispettivamente essiggere, scomputare, e consegnare a prezzi rispettivamente stabiliti, come sopra, ordinando che l'asserita esazione e consegna di grani, e germani si debbano misurare col mezzo tumulo napoletano zeccato dalla Regia Zecca e barriato colla barra tonda a ferro scoverto; ed à rispetto dell'orzo si riceve nel suddetto mezzo tumulo napoletano zeccato come sopra alla colma".

In questo modo, mentre il prestito del grano avveniva col tomolo legale alla "rasa" (o scarsa), la restituzione avveniva col tomolo alla "colma", cioè con l'aggiunta di un tasso di interesse pari a 1/24° - 1/25° e oltre di prodotto, con notevole guadagno da parte dell'Erario del Principe. Si è già parlato del commercio della pece in altro capitolo, con riferimento anche all'incidente, di cui fu vittima nel 1701 il Principe di Campana. La spedizione via mare del prodotto non mancò di creare anch'essa qualche incidente per il mancato rispetto delle norme, e particolarmente del pagamento della Dogana. Così nel

1699 a

Bartolo Sambiase dal Fondaco di Rossano venne impedito di imbarcare alcuni cantari di pece nera per non essersi adeguato alla legge. Proprio per avere diritto di fabbricare a suo arbitrio pece bianca e nera, Giuseppe Sambiase nel 1731 aveva acquisito dal Regio Fisco le terre silane di S. Salvatore, Tre Cerze e Serra di Lesa, precedentemente occupate, pagando la transazione di 2500 ducati. Anche la produzione ed il commercio della seta era sotto il controllo del Principe. Non si conosce il volume di affari legato a tale commercio. Di certo, per esempio, a Campana ancora nel 1836 si producevano 30 libre di

12 once

ciascuna di seta. Una parola merita anche il commercio dei latticini, la cui produzione era rilevante, tenuto conto dell'ampia pratica nel territorio della pastorizia. Anche sui latticini e sul suo commercio vigevano leggi rigide e controlli minuziosi. A questo riguardo, nel 1731 Francesco Sambiase venne denunciato per aver spedito a Napoli 10 cantari di latticini con false licenze per evadere la tassa di imbarco. Del fatto se ne occupò il procuratore in Napoli del Principe Borghese di Rossano, che accusò il Sambiase di esercitare con mezzi illeciti un vero e proprio contrabbando. A fronte di queste attività, al Principe Sambiase competeva garantire la vigilanza del tratto di costa da e per

la Torre

di S. Tecla in località Fiumarella tra Calopezzati e Crosia. Nel 1736 (31 agosto) Giuseppe Sambiase pagò "per salario come Cavallari et affitto di loro cavalcature che han servito a battere la marina di Crosia" la somma di 30. 3. 10 ducati.



3.
La Fiera della Ronza

Anche alla Fiera della Ronza i Sambiase vantavano diritto di proprietà su alcune botteghe, come è stato riconosciuto dalla stessa Commissione Feudale nella citata Sentenza n. 10 del 4 ottobre

1809. In

essa è detto:



"Poichè colla legge de' 2 Agosto 1806 sono state abolite anche le concedute giurisdizioni delle fiere. Poichè il Principe nel Catasto dell'anno 1743 rivelò possedere alcune botteghe situate nel luogo ove si fa la fiera nominata Ronza, il fitto annuo delle quali allora montava a duc. 40 (fol. 57, vol. 4).
La Commissione ordina che il barone non sia molestato nel possesso delle divisate botteghe nel luogo della fiera detta Ronza, e sia lecito alla Università di Campana e a' di lei cittadini di costruirvi le botteghe, o baracche che essi vogliono".

Della Fiera troviamo notizia nel Privilegio del 1464 col quale Re Ferdinando d'Aragona "concede all'Università medesima

la Fera

, o vero Mercato della Ronza, franca e libera d'ogni angaria: e dura dagli undici di giugno per tutto il diciotto: e per ciò vi si negozia da chi si voglia con tutta libertà, e senz'alcuna gravezza". Non sappiamo quando le date della fiera passarono dall'11-18 al 7-8 giugno. Di certo nel 1839 la celebrazione della fiera avveniva in data diversa: durava 3 giorni dall'8 al 10 giugno. Era destinata al mercato delle sete lavorate, di animali e di ogni genere di prodotti soprattutto artigianali. Anche per la sua specifica destinazione la fiera aveva acquistato nella zona una forte rilevanza, tanto da diventare termine di riferimento per i contratti e per le scadenze di pagamenti. A dire di P. Fiore era celebre fin dal sec. XVI e vi partecipavano "amendue le Calabrie". Originariamente la fiera si teneva in località Ronza Vecchia, più a nord del sito attuale, dove tempo addietro sono stati rinvenuti resti di stanziamenti dell'età del ferro. Il nome probabilmente proviene dalla presenza nei paraggi della chiesa detta di S. Maria "de Runtia", nota fin dal 1275, ma potrebbe essere anche precedente alla stessa chiesa e derivare dalla presenza in zona di diverse acque sorgive. Il termine "rùonzu" nel dialetto calabrese significa proprio pozza d'acqua. Il nome Ronza , pertanto, potrebbe essere stato dato alla località proprio per la presenza di sorgive. E del resto, l'acquedotto Portara completato nel 1914 dal Sindaco Pasquale Santoro ha raccolto e incanalato anche le vene acquifere della Ronza. Ritornando alla fiera, sul muro interno della fila nord delle baracche vi è incastonata una pietra, forse residuo di una lapide funeraria, su cui è decifrabile la scritta "... A... P... + MCCCCC". A parte l'anno (1500), il resto non offre possibilità di interpretazione. Di certo proviene da altro sito, forse dalla chiesa rurale di S. M. de Runtia, i cui resti erano ancora visibili fino a qualche anno fa sulla vicina collinetta. Come si sa le baracche erano di pertinenza del Principe Sambiase, che in occasione della fiera le dava in fitto ai "fierai" con congruo reddito. Alla morte di Ferdinando Sambiase (1830) l'eredità venne goduta dal marchese Carlo Messanelli di Napoli, che aveva sposato Candida, la figlia adottiva di Enrichetta Sambiase, sorellastra del Principe. In realtà il Messanelli, nell'assenza forzata per ragioni militari dello zio Ferdinando, aveva assunto l'amministrazione del feudo con una gestione un pò eccessivamente personalizzata. Con atto del 25 marzo 1833 redatto dal Not. Nicola Chiarelli di Mandatoriccio, il Messanelli cedeva tutti i diritti dell'ex feudatario a Rosalbino Morelli. La famiglia Morelli conservò la proprietà della fiera per quasi un secolo, cedendola poi a Luigi Quartucci di Celico intorno al 1920. Da questi nel 1939 veniva messa nuovamente in vendita. Dopo varie offerte, tra cui quella di Antonio Parrotta ("Mmaculatu") a nome del cognato Domenico Riccelli, la fiera venne acquistata da Alfonso Ausilio, che rinnovò ed ampliò le antiche baracche. Nel 1944, facendo affiggere in ritardo un manifesto firmato dal Commissario Prefettizio Aldo Arcieri quando questi ormai non era più in carica, l'Ausilio tentò di far trasferire alla Ronza anche la fiera del Rosario (7-9 ottobre), tradizionalmente tenuta al rione Convento. Il nuovo Commissario Giuseppe De Martino, assistito dal segretario comunale Leonardo Fazio, revocò il provvedimento disponendo che la fiera venisse celebrata nella solita località del Convento. Di recente, nel 1992,

la Fiera

è stata acquistata con fondi dell'Unione Europea dall'Amministrazione Comunale, sindaco l'Ing. Saverio Greco, per realizzarvi l'ambizioso progetto di un Centro Fieristico Campionario regionale per il rilancio dell'artigianato e del commercio.



4. Gli ultimi intestatari del Principato

Nel 1830, alla morte di Ferdinando Sambiase, celibe e senza figli, il titolo di 7° Principe di Campana (oltre a conte di Bocchigliero, duca di Crosia, barone di Caloveto, Calopezzati e Pietrapaola) venne "de iure" ereditato da Giustiniana Sambiase , la più grande delle sorelle di Ferdinando. Alla più piccola, Enrichetta, toccarono i beni di Mirto-Crosia col Castello e la chiesetta di S. Bartolomeo. Giustiniana Sambiase, nata nel 1777, andò sposa a D. Marco Boncompagni Ottoboni, duca di Fiano, portando in dote anche il titolo nobiliare. Alla sua morte (16 giugno 1833), per legittima successione materna il titolo passò al figlio Alessandro Boncompagni Ottoboni , nato nel 1805 e morto il 29 agosto 1837. Ereditò il titolo Marco Boncompagni Ottoboni (1832-1909), che fu Cavaliere Gerosolimitano e Senatore del Regno. La figlia primogenita Donna Costanza , legittima erede del titolo, sposò il principe Mario Ruspoli nel 1879 e poi, alla morte di questo, il conte Alessandro Cittadella Vigodarzere da Padova nel 1888. Dal primo matrimonio nacque Augusto Ruspoli , che nel 1909, alla morte del nonno, ereditò il titolo di Principe di Campana con gli altri titoli. Morto nel 1912 senza figli, gli subentrò Andrea Cittadella Vigodarzere , figlio di seconde nozze di donna Costanza. Attualmente il titolo di Principe di Campana appartiene al primogenito Alessandro , avuto nel 1929 dalla moglie Elisabetta Poli.

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