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Monasteri Calabro-Normanni

 Il processo di latinizzazione imposto da Roberto il Guiscardo alla Calabria nei secoli XI-XII previde, oltre alla graduale sostituzione dei vescovi greci, anche l'erezione con dote di monasteri latini come "focolai di pietà per le popolazioni latine, a cominciare dagli immigrati normanni", e come motivo "di attrazione religiosa per quelle greche".

La diocesi di Rossano, di marcata tradizione bizantina, si oppose violentemente alla latinizzazione del rito, ma non contrastò il sorgere di monasteri, visti quasi come un innesto di nuova energia sull'antico troncone del monastero anacoretico, che nel sec. X aveva regalato alla Chiesa il grande S. Nilo, ma che ormai dava segni di stanchezza ed era in via di esaurimento. Nel territorio di Campana, ricco di grotte naturali, a partire da questo periodo, sorsero ben 3 monasteri, che chiamiamo calabro-normanni: S. Angelo Militino, S. Marina e S. Giovanni La Fontana. 
 
1. S. Angelo Militino
E' il primo monastero a sorgere in territorio di Campana. P. Fiore riporta due importanti notizie, da cui ricaviamo sia l'anno di fondazione, sia il nome del primo abate. Scrive testualmente: "S. Angiolo Militino presso Campana, Diocesi di Rossano. Fu questo monasterio fabbricato dal Conte Roggiero l'anno 1081, come si ha dal privilegio della sua fondazione riferita dal P. Ottavio Cajetano (tom. 2 Animadv. ad vitam S. Bartholomei fol. 50). Quivi fu vestito dell'abito religioso S. Bartolomeo da Simmari dall'Abbate S. Cirillo". Dell'abate S. Cirillo si hanno notizie lacunose e per lo più indirette. Rodotà nel Catalogo dei Santi Monaci Greci che fiorirono nelle Provincie del Reame di Napoli menziona "S. Cirillo Abbate nel Monasterio di S. Angelo in Meliteno fiorì l'anno 1100". P. Fiore lo dice originario di Reggio e festeggiato il 29 di maggio. I Bollandisti nel parlare di S. Bartolomeo da Simeri, di cui fu maestro, lo richiamano in nota per sottolineare che "De Cyrillo, qui vitam solitariam cum paucis duxit in Calabria, nihil alibi invenio". Aggiungono, comunque, preziose informazioni quando raccontano la monacazione del giovane Basilio (poi Bartolomeo). Questi, lasciata nascostamente la casa paterna per darsi alla vita ascetica, si rifugia presso S. Cirillo, monaco di gran fama, il quale, ancora con pochi compagni, menava vita eremitica presso il torrente Meliteno esercitandosi nella pietà e assaporando con studio il sacro miele della virtù. Con decisione Basilio riuscì a vincere le resistenze del vecchio anacoreta opponendo il fermo proposito di non tornare indietro, malgrado la giovane età e la gracilità del suo fisico. Alla scuola di Cirillo in breve raggiunse un alto grado di perfezione tanto che decise di lasciare il maestro per addentrarsi in luoghi più impervi e solitari tra i monti della Sila. Qualche anno più tardi, intorno al 1095, Bartolomeo fonderà il più famoso monastero di S. Maria del Patire. Sorto comprensibilmente con pochi elementi, come si evince dai Bollandisti, il monastero di S. Angelo andò incrementandosi al punto da richiedere una seconda struttura chiesastica. Non si spiegherebbero diversamente le due chiese che si notano a breve distanza l'una dall'altra. Ambedue di piccole dimensioni, a pianta rettangolare e con abside rivolta ad oriente, sono oggi appena rilevabili. Una, quella posta più in alto in cima al Cozzo S. Angelo, qualche anno fa è stata rasa definitivamente al suolo durante i lavori di sbancamento per l'apertura di una pista carrabile. La seconda, forse quella più antica, è situata in prossimità della vecchia chiubica che collegava Campana con Pietrapaola. Ancora qualche anno fa presentava visibili le fondazioni, da cui si potevano desumere sia la pianta che le dimensioni. Più distante, a fondo valle, esiste ancora un grosso stabile diroccato, che doveva servire probabilmente da magazzino di raccolta o forse anche, nei tempi antichi, da biblioteca e scriptorium. La floridezza spirituale del monastero durò poco perchè nel 1256 papa Alessandro IV, richiamandosi ad un precedente intervento analogo di Gregorio IX, nel deplorarne la corruzione generale, lo affidava alle cure dell'abate florense di Fonte Laurato, in diocesi di Tropea, per una opportuna riforma della vita e dei costumi. La ventilata unificazione con l'ordine florense, comunque, non potè effettuarsi a causa delle lotte tra Federico II e il Papa, lotte che avevano portato alla confisca da parte dell'imperatore dei beni di S. Angelo. A nulla valsero le sollecitazioni rivolte l'11 novembre dello stesso anno a Rainuccio vescovo di Bisignano, a Pietro vescovo di Strongoli e al canonico rossanese Leone perchè si interponessero a dirimere la vertenza, approfittando della disponibilità di Re Manfredi, succeduto al padre Federico. Bisognerà, però, attendere il 1267 prima di chiudere con esito positivo l'incresciosa vicenda. In tale anno, infatti, vengono confermati all'abate di Fonte Laurato tutti i diritti e i privilegi precedentemente concessi da Ranulfo e Giovanni, vescovi di Tropea, insieme ai beni e diritti appartenuti al monastero di S. Angelo Militino. Il drastico provvedimento papale sancì il definitivo passaggio di S. Angelo Militino all'Ordine Florense, fondato nel 1189 da Gioacchino da Fiore. Per gli anni seguenti, a parte alcuni riferimenti fiscali deducibili dai Tassari del sec. XIV, le notizie sul monastero risultano frammentarie. Il 27 marzo 1443 l'abate Andrea, detto di Castrovillari, è provvisto della chiesa di S. Basilio di Scala Coeli e di un bosco con alcune terre e un mulino in territorio di Cropalati, lasciati liberi da Cicco, promosso vescovo di Umbriatico. Alla morte di Andrea, sul finire del 1484, la successione dell'abate è poco chiara ed il susseguirsi degli interventi pontifici più che chiarire sembrano ingarbugliare ancora di più la vicenda. Leggiamo, infatti, che il 28 gennaio 1485 abate è promosso Giovanni de Casolis, monaco di S. Angelo. Il 19 febbraio successivo è, invece, il chierico napoletano Geronimo de Tucci (de Tuccis, o de Futiis) ad essere provvisto del monastero per la morte di Silvestro de Criscis (o Tuccis) e con l'appoggio autorizzato dei vescovi di Tropea e Policastro oltre che del canonico napoletano Giovanni Tommaso De Gennaro. Il giallo sembra chiarirsi in altri due provvedimenti, in cui si dice che il De Tucci il 27 maggio 1485 ottiene la bolla di nomina per la Commenda di S. Angelo, mentre Giovanni de Casolis e il monastero il 20 agosto dello stesso anno hanno riconosciuta un'entrata di 24 libre di piccoli tornesi. Si tratta, pertanto, di abate commendatario il primo, che succede al napoletano Silvestro de Criscis e di abate conventuale il secondo, succeduto ad Andrea di Castrovillari. A partire da questo periodo, allora, S. Angelo Militino avrà l'abate commendatario, istituzione questa che incise pesantemente e in negativo sulla vita del monastero, ridotto a pura e semplice prebenda senza il corrispettivo interessamento ai monaci, costretti a vivere in estrema indigenza e ignoranza. I nuovi abati eran interessati più ai beni patrimoniali, che non alle esigenze della vita monastica. In conseguenza di ciò la situazione, già bisognevole di una radicale riforma interna, - basti pensare alle continue Visite Apostoliche imposte da Roma per riportare i monasteri all'antico spirito ascetico - andò sempre più aggravandosi. Nè valse a frenare la decadenza materiale e morale la distinzione dei beni in due mense, quella commendataria e quella destinata al monastero. I Commendatari, infatti, forti dell'appoggio dall'alto, trovarono la via per lasciare ai monaci solo le briciole essenziali, costringendoli ad una vita grama e deprimente. Le stesse attività scrittorie e le biblioteche soffrirono la grave decadenza fino a diventare oggetto di razzie e di trafugamento del prezioso materiale documentario in esse conservato. Non si contano i codici manoscritti ceduti a privati per procacciarsi il sostentamento, oppure ricettati senza riserbo da umanisti e biblioteche varie. La convivenza tra i due abati al Militino non fu mai pacifica. Già nel 1487 il dicastero romano deve intervenire per ripetere il conferimento della commenda al de Tucci e nel 1491 riconferma la concessione malgrado le richeste dell'abate de Casolis, che rivendicava diritti al monastero. Il 27 ottobre 1492 l'abate di S. Angelo col canonico Carlo De Napoli e il Vicario Generale dell'Arcivescovo di Cosenza sono incaricati di assegnare a Pietro Tivellario di Terranova i nuovi Eremitori della B. M. del Rode presso Bisignano e il monastero della B. M. di Gerusalemme sulla strada di Pedace. Alcuni anni più tardi, nel 1504, lo stesso abate col vescovo di Cariati e l'arciprete di S. M. di Scala ricevono mandato di provvedere Antonio Inglese, prete di Campana, dell'arcipretura di Cropalati e della chiesa rurale di S. M. della Grotta, nello stesso comune, vacanti per la morte di Raimondo Pressano. Il sec. XVI fu determinante per il monastero. Con la rinuncia dell'abate Giovanni de Casolis il 25 giugno 1507 passò nelle mani uniche del Commendatario Tommaso De Donato, prete di Cosenza. E' proprio a partire da questo periodo che il monastero appare abbandonato dai monaci, che con molta probabilità andarono a fondersi con quelli del vicino Patire. A tanto indurrebbe a pensare il Codice Vaticano 1997, scritto nel 1437 da Dositeo, monaco del Militino, e conservato nella Biblioteca Vaticana nel fondo proveniente dal Patire. Del resto il tono di molti Regesti Vaticani lascia proprio intendere che il monastero, non più abitato, è ridotto a chiesa rurale e a semplice beneficio. In un Regesto del 1535, per esempio, si dice esplicitamente che il commendatario G. Geronimo de Abenante di Rossano cede il monastero, ormai carente di convento, al card. Antonio Sanseverino. Gli abati, comunque, continuano ad essere segnalati per incarichi di fiducia. Nel 1539 l'arcivescovo di Reggio, il vescovo di Nicotera e l'abate di S. Angelo Militino sono scelti come "iudices conservatores" dei Minori Osservanti. Due anni dopo, gli stessi, su petizione del barone e della popolazione di Nicotera, hanno il mandato di annettere la chiesa dei Ss. Andrea e Nicola al monastero di S. Chiara di quella città, con facoltà di introdurvi 6 monache sotto la cura dei Minori Osservanti. Nel 1560, in un tentativo di ricupero dei monasteri florensi superstiti, con la fusione dei Florensi e dei Cistercensi, venne costituita la Congrega Cistercense di Calabria o di Calabro-Maria. Il Procuratore Generale, Nicola Boucherat, accompagnato dal Vicario Dionisio de Laceronis, nel 1569 fece un giro di ricognizione dei monasteri dell'Ordine prendendo atto, tra l'altro, dello stato di desolante abbandono di S. Angelo Militino. Nella Relazione che ne fece, così ebbe a scrivere: "Octavum decimum est monasterium S. Angeli militini. In eo nihil est omnino praeter ecclesiam et quoddam habitaculum circa eam quequidem ecclesia videtur velut derelicta nullum fit illic divinum officium. Abbas vocatur Ioannes Aloisio Damato de Samantie. Annui redditus ascendunt ad trecentos aureos aut circa". 
 
a) Abati conventuali e Abati commendatari
Restano pressocchè sconosciuti gli abati che precedono l'istituzione della Commenda. Dopo S. Cirillo, fondatore ed abate dal 1081 al 1100, dobbiamo arrivare al 1345 per trovare un certo abate Simone, che paga 2 once di decima papale. Nel 1443 è menzionato Andrea di Castrovillari e dopo di lui, dal 1485, Giovanni de Casolis, che sembrerebbe l'ultimo abate conventuale. Molto più nutrito e documentato, almeno per i secoli XVI-XVII, è il capitolo degli abati commendatari. Il primo di cui si ha notizia è Silvestro de Criscis (o Tuccis), al quale succede nel 1485 il napoletano Geronimo de Tucci, di cui sono stati ricordati i contrasti con l'abate de Casolis a proposito di alcuni diritti spettanti al monastero. Nel 1507 la commenda passa al cosentino Tommaso de Donato, che la cede nel 1510 al canonico pisano Giovanni Vannuzio, uditore del S. Palazzo. Suo procuratore in loco fu Francesco Bernardi, che il 10 aprile 1511 viene sollecitato a pagare entro sei mesi l'annata dovuta sulla rendita di 40 ducati, di cui è dotato il beneficio. Al Vannuzio succede il 14 febbraio 1513 Faspare Fagio. Segue Gio. Geronimo de Abenante, che, nel 1535 vi rinuncia a favore del card. Antonio Sanseverino. Questi l'anno successivo la cede a Cataldo Malaspina, dei minori osservanti, che la lascia nel 1553, avendo ottenuto la chiesa parrocchiale dei Ss. Giovanni e Pietro di Melicuccà, allora in diocesi di Mileto. Alcuni giorni dopo, il 13 ottobre 1553, è Agapito de Bellominibus della Camera Apostolica a ricevere in commenda S. Angelo, ormai ridotta a "chiesa rurale" e "perpetuo beneficio", ma questi fa solo da passamano perchè il 18 ottobre successivo cede tutto a Fabio de Amato, chierico di Amantea. Alla morte di questi, il 7 luglio 1580 abate commendatario è nominato il card. Scipione Lancellotto, uditore della S. Rota, che il 13 dicembre 1584, riservandosi una pensione annua di 70 scudi d'oro, la lascia al rossanese Paolo Cito. Questi ne gode la rendita di 100 ducati fino alla morte avvenuta nel 1591. La successione risulta poco chiara perchè mentre in un Regesto del 31 maggio 1591 si dice che la commenda è concessa ad Alessandro Graziano, il 16 luglio seguente ne risulta intestatario il canonico milanese Ludovico Maggio, il quale è molestato nel prenderne possesso da alcuni banditi locali. In conseguenza, l'Uditore generale delle cause della Curia Romana, il Vicario Generale di Rossano ed il Nunzio di Napoli sono facoltati a perseguire duramente i responsabili. Non conosciamo l'esito della vertenza. Di certo nel 1610 commendatario e Giovanni Antonio Graziano, il cui nominativo appare nella Visita Pastorale di Mons. Lucio Sanseverino, arcivescovo di Rossano. Nel 1630 vi risulta ancora lui, , mentre l'anno successivo vi è nominato l'altro rossanese Nicola Vaglica. Rossanese è ancora Giovanni Alfonso Curti, che nel settembre 1633 succede per dimissioni del Vaglica. Ma il suo nominativo è doppiato, come già successo altre volte, dal napoletano Marco Antonio Pisanello, che nell'ottobre dello stesso anno risulta ugualmente provvisto della chiesa di S. Angelo Militino, vacante "per resignationem Nicolai Vaglica de mense Septembris factam". Nelle Relazioni ad limina del 1655 e 1658 fatte dall'arcivescovo Giacomo Carafa, senza comunque controprova nei Regesti, commendatario è riportato Marco Antonio Perrone, mentre dal dicembre 1660 e per pochi mesi la commenda è goduta dal rossanese Carlo Galasso. Il 23 febbraio 1661 passa a Cesare Perri e nello stesso giorno a Carlo Blasco, che si impegna a versare al Perri una pensione annua di 12 ducati. Carlo Blasco, insigne letterato, membro dell'Accademia degli Spensierati, autore del prezioso manoscritto Istorie della città di Rossano, per la morte del padre (o del fratello, secondo altri) deve abbandonare la carriera ecclesiastica per dedicarsi alla famiglia, per cui è costretto a rinunciare alla commenda. Dopo di lui pare che questa sia passata a Giovanni Battista Blasco, probabile suo parente. Alla morte di questi, il 18 luglio 1692 il monastero è concesso ad Andrea Crisafullo, napoletano, che gode anche del beneficio di S. Andrea e S. Mauro di Corigliano, oltre che dell'abbazia dell'Annunziata di Campana. La consistenza patrimoniale del monastero è rilevabile indirettamente dai Tassari pontifici e da altre sparute note dei Regesti. Di certo, comunque, malgrado si parli di "pingue commenda", doveva essere inizialmente abbastanza povera se nel 1325 paga 3 tarì di decima, nel 1345 due once, nel 1418-31 due tarì. La misura della povertà si ricava dal confronto con altri monasteri viciniori. Nello stesso periodo 1418-31, per esempio, S. Giovanni Calibita (Caloveto) paga 6 tarì, S. Donato di Paludi 3 tarì, il Patire 4 once. Le stesse quote risultano da un Censiere papale del 1437. Nel 1443 il monastero si arricchisce della chiesa di S. Basilio di Scala, di un bosco e di un mulino con alcune terre. Nel 1485 la rendita per il commendatario è di 24 fiorini d'oro, cui si aggiungono le 24 libre di piccoli tornesi spettanti all'abate del monastero. Nel 1511 la rendita non supera i 40 ducati, che diventano 50 nel 1536, sessanta nel 1580, cento nel 1591, per poi abbassarsi nuovamente a 60 nel 1633. 
 
b) Lo "Scriptorium"
La vita povera e penitente dei monaci non impedì di coltivare le arti nobili e lo studio delle lettere. Accanto alle attività agricole, figurano sempre le attività culturali, che si esprimevano sia nello studio dei testi sacri e delle vite dei santi, sia nell'arte scrittoria e calligrafica. Ogni monastero, per quanto piccolo, aveva il suo scriptorium e almeno un amanuense. Il successivo scadimento dei costumi, l'allentamento del rigore ascetico, la pressocchè esclusiva "cura e sollecitudine delle cose temporali", precipitò i monaci "in un baratro di rilassatezza", che significò l'abbandono totale dello studio e delle lettere con un conseguente "stato compassionevole" di "crassa rozzezza e imperizia", accompagnato da ignoranza e leggerezza morale. L'attività scrittoria e lo stesso scriptorium del Militino sarebbero finiti nel silenzio più assoluto fino a dubitare della stessa esistenza, se non fosse stato salvato l'unico prezioso esemplare di codici, il Vatic. 1997, conservato nella Vaticana nella raccolta proveniente dal Patire di Rossano e che riporta sia il nome del copista, il monaco Dositeo, sia l'anno di composizione, il 1437. Preziosa è la scheda informativa che ne ha fornito Batiffol alla fine del secolo scorso: "Vite di Santi, XIII sec., pergamena, formato medio (250x200 mill.) a pagina intera, ff. 178. Intatto. Rilegatura Pio IX. Antico Basiliano 36. Dalla raccolta del Patire del sec. XVI. In testa al f. 1: Libro 72. Vita patrum. Sul f. 17, in graffito: 'Io D. Gio. Batista Galanti di Corg.no (Corigliano). Hoggi li 10 di settembre 1651 nel venerabile mon.ro del Patiro'. Sul f. 63, anche qui in graffito: 'Io D. Giovanni Ruffo della città di Rossano feci novitio in questo monastero nel anno 1677'. Questo ms. è stato copiato da 'Dositeo, prete, certosino sulla montagna del monastero di Militino' che era, ancora nel 1437, e noi lo abbiamo visto, un convento nella Diocesi di Rossano. (Ss. n. 4)". Il codice è in lingua greca, mentre il copista, essendo un florense è latino. Il particolare, a dire di Batiffol, è "eccezionale" e "singolare". Lascia intendere, cioè, che tra il XIII-XIV secolo c'è carenza di copisti greci per cui si rese necessario ricorrere "all'ingaggio di personale latino che si dimostra del tutto capace di scrivere in greco". E che il copista del Vat. 1997 non sia greco, trova riscontro "nella forma bizzarra, extra greca, di numerose lettere dell'alfabeto da lui usato e nell'aspetto generale della sua calligrafia che si allontana e di molto da quella in uso nel XIII secolo. Il suo stile è ricercato, dotto e fantasioso; ma non è raro incontrare di questi esempi nella calligrafia italiota del XIII secolo". 
 
c) Ultime vicende
A partire dalla fine del Seicento di S. Angelo Militino si perdono quasi completamente le tracce. Si sa, comunque, che nel 1730, alla morte del Grisafulli, l'abbazia è data a Giovanni Battista Gentile, che la mantenne fino al 1756, anno della sua morte. Gli succede Antonio Gentile, cui subentrerà nel 1768 Giuseppe Mannarini. Ma ormai il processo di decomposizione era irreversibile e l'assenza degli stessi commendatari ha fatto sì che i suoi beni fossero oggetto di continue razzie finchè alla fine del sec. XVIII vennero definitivamente soppressi ed incamerati per poi metterli in vendita a tutto vantaggio di chi disponeva di contanti. Attualmente proprietari dei terreni di S. Angelo sono Passavanti, Labonia, Chiarello ed altri. Ed infine una nota di folklore. Nel periodo del brigantaggio pre e post unitario il fitto bosco intorno all'ex monastero divenne nascondiglio di briganti, che, secondo la diceria popolare, vi nascosero un ricco tesoro in monete d'oro. 
 
2. Santa Marina
Il monastero di S. Marina, un tempo in diocesi di Umbriatico e oggi in territorio di Campana, sorse tra l'XI-XII secolo ad opera probabilmente dei Normanni. Per la prima volta compare menzionato in un atto del 1167 col quale il vescovo di Umbriatico Roberto conferma all'abate del Patire la cessione del monastero di S. Stefano ottenendone come contropartita un'anfora di olio e tre candele che i monaci patiriensi dovevano offrire annualmente il giorno della festa patronale di S. Donato (7 agosto). Da parte sua si impegnava a fornire ai monaci gli oli santi. L'atto, sottoscritto in greco dal predetto vescovo e in latino dall'arciprete e dai canonici della cattedrale Bartolomeo, Pagano, Ruggero e Pasquale, è stato redatto in greco dal monaco Filottete, abate di S. Marina. Intorno al monastero, delle cui origini e sviluppo non si conosce altro, sorse l'omonimo Casale, che in breve dovette diventare abbastanza popoloso, tanto che il re Carlo I d'Angiò nel 1271 potè concedere al vescovo Alfano la fiera di S. Marina, oltre a quella di S. Nicola dell'Alto e Maratea (località di Umbriatico). Non meno ingenti furono i donativi dello stesso Re fatti l'anno successivo alla città per la fedeltà espressa alla causa angioina e papale. Allo scoppio della guerra del Vespro (1282), che contrappose Angioini ed Aragonesi, tutta la Calabria fu teatro di feroci scrontri e devastazioni ad opera soprattutto di Ruggero di Lauria, fautore degli Aragonesi, che con i suoi Almugaveri, dopo aver conquistato Cassano, Cerchiara, Crotone e Strongoli, invase e devastò S. Severina ed Umbriatico, i cui vescovi Ruggero e Lucifero avevano preso decisamente posizione a favore di Carlo II d'Angiò. La situazione apparve subito così grave, che il papa Nicolò IV il 3 luglio 1289 scrisse al Cardinal Legato Berardo di assegnare ai due vescovi qualche beneficio, dato che i loro beni erano stati distrutti e devastati dagli Aragonesi. Nel 1306 il vescovo Guglielmo di Umbriatico ottenne da Carlo II facilitazioni fiscali per consentire la riparazione delle terre di Maratea e S. Marina, abbandonate dagli abitanti a causa dei gravi danni subiti. Ma lo sforzo fu inutile perchè nel 1313, allo scoppio di nuove rivalità tra le due fazioni, gli Almugaveri occuparono e devastarono ulteriormente quelle terre, di cui poi si appropriarono abusivamente i signori locali. Ciò spinse il vescovo a chiedere al Papa che "date le rovine di cui la guerra aveva così a lungo tempo cosparso le loro contrade e principalmente a causa della tirannide delle autorità civili, che, infierendo contro uomini e cose, avevano reso deserta la città, non essendoci speranza che potesse essere di nuovo riabitata", autorizzasse addirittura il trasferimento della sede vescovile in altra località più idonea. Il 19 agosto 1317 da Avignone papa Giovanni XXII incaricò l'arcivescovo di S. Severina perchè indagasse sull'opportunità del trasferimento, e contestualmente ordinò al cardinale di Napoli di istruire un processo in merito all'occupazione abusiva della mensa vescovile di Umbriatico. Anche il re Carlo II prese severi provvedimenti contro i signorotti, per cui nel breve volgere di qualche anno, scongiurata la minaccia di trasferimento, si ebbe una ripresa della diocesi tanto che nel 1326 sia il vescovo che il clero vengono regolarmente tassati sulle rispettive rendite. Il monastero di S. Marina, invece, è completamente ignorato sia in questa "taxatio", che nelle successive, per cui è da presumere che sia rimasto definitivamente distrutto e abbandonato dai monaci dalla fine del sec. XIII. In conseguenza di ciò il vescovo di Umbriatico unì alla mensa i beni ed il titolo di abate di S. Marina. La sua definitiva scomparsa, pertanto, spiega perchè il monastero non figuri nè tra quelli passati all'ordine florense, come è avvenuto per gli altri del circondario, nè tra quelli basiliani visitati nel 1457-58 da Atanasio Calcheopulo, abate del Patire. A parte l'abate Filottete e la sua menzione dell'atto del 1167, il monastero di S. Marina resta, quindi, nel più profondo silenzio di notizie e di documenti fino al sec. XVI. Per i secoli XVI-XVII, invece, abbiamo numerose informazioni dall'Archivio Vaticano, da cui si ricava come l'antica abbazia, ora diventata beneficio semplice e chiesa parrocchiale rurale di S. Marina de Camerota, è assegnata direttamente dalla S. Sede a prelati locali ed esteri. Ai primi del Seicento la rendita annua era di 20 ducati, come si rileva da un Regesto Vaticano, di cui ci interesseremo più avanti. Il 24 luglio 1519, per cessione del romano Giacomo de Gotifredis, la chiesa rurale "abbatia nuncupata", è assegnata a Pietro de Medina, scrittore delle Lettere Apostoliche. Da un Regesto del giorno dopo, però, sembrerebbe che il beneficio sia stato assegnato al de Medina non per cessione del de Gotifredis, ma perchè vacante per la morte del precedente rettore, Alberico Inglese. All'esecuzione del mandato provvedono i vescovi di Isola e Strongoli ed il Vicario Generale di Umbriatico. Il giallo, però, non si chiarisce perchè il 28 luglio successivo di nuovo si sottolinea la rinuncia di Giacome de Gotifredis a favore dell'altro. Senza arzigogolare più del necessario, ci sembra di poter spiegare la vicenda in modo semplicissimo: alla morte di Alberico Inglese la chiesa venne concessa a Giacomo, il quale ritenne di non accettare il beneficio, che quindi passò a Pietro de Medina. Questi, a sua volta, lo conservò per poco, in quanto appena qualche tempo dopo vi risulta titolare Antonio Inglese di Campana. Alla rinuncia di quest'ultimo, la chiesa il 21 agosto 1525 venne assegnata a G. Battista Inglese, anche lui di Campana, il quale risulta anche titolare della chiesa di S. Maria di Giacomo di Pietrapaola. Sul finire del sec. XVI troviamo l'abate commendatario, prima mai segnalato. E' difficile dire se questo silenzio sia dovuto alla mancanza di fonti documentarie o se il commendatario venne istituito in questa fase. Il primo di cui si ha memoria è Giovanni B. Carafa, nominato nel marzo 1592. Alla sua morte la commenda nell'agosto 1593 passò a Fabio Tramonto di Rossano. Ora la rendita del monastero è di 16 ducati, che diventano 20 nel 1606. In tale anno, per la morte del titolare Ottavio Maleno, l'abbazia venne assegnata a Paolo Martinello di Rossano. Per la prima volta in questa circostanza il monastero viene detto in territorio di Campana. Alcuni mesi dopo, il 1° settembre 1607, in sostituzione del defunto Oliverio Malvico, viene nominato commendatario il milanese Antonio Foresi, che prende possesso per procura tramite l'Uditore generale della Curia della Camera Apostolica ed i Vicari Generali di Umbriatico e Cariati. Nel periodo della commenda con il commendatario compare anche un diverso titolare della chiesa. Nel 1616, per esempio, commendatario è nominato Giovanni Cropalato di Crotone, il quale restò in carica fino al 16 luglio 1645, giorno della sua morte. Contemporaneamente nell'ottobre 1630 la chiesa, vacante per la rinuncia del maestro Giovanni Battista Fossati e per privazione del benedettino Flaminio Longhena, è provvista con Francesco de Nobili, chierico di Roma. Nel 1647, per rinucnia di un commendatario di cui si ignora il nome, l'abbazia è assegnata a Giulio Cropalati, arcidiacono di Isola e forse parente del precedente, il quale il 17 ottobre 1633 aveva già ottenuto l'abbazia di S. Giovanni La Fontana, anch'essa in territorio di Campana, ma sottoposta alla giurisdizione del vescovo di Cerenzia. Alla sua morte (1652) la commenda rimase vacante per 8 anni, forse per l'esiguità della rendita ridotta a soli 2 ducati. Nel 1660 gli successe per poco Giuseppe Persiano, canonico di Rossano. Da un Regesto del 18 giugno 1664 ricaviamo, invece, che la chiesa essendo vacante per la morte del Cropalati è stata provvista con D. Giuseppe Grilletta, prete di Campana. L'esecuzione della consegna viene affidata al Vicario Generale di Rossano. Al Grilletta, morto nel febbraio 1668, succede Paolo Emilio Marino, il quale probabilmente non accetta la designazione perchè il 19 aprile 1669 troviamo nominato Domenico Pane, maestro della Cappella pontificia. Il Pane, però, sembra essere subentrato nel dicembre 1670 a seguito della libera rinuncia di Marco Antonio Cattaneo, al quale, a sua volta, era stata assegnata per rinuncia di Francesco Cattaneo. Nel gennaio 1728, alla morte del beneficiario Domenico Antonio de Mattia, avvenuta nel novembre precedente, vi venne nominato Adeodato Prospero, che ebbe in aggiunta anche i benefici di S. Martino (S. Giorgio Albanese), S. Maria de Jesus, "Abbatia nuncupata" (Bocchigliero) e la chiesa parrocchiale "della Schiavonea" (Corigliano). Ultima notizia in nostro possesso è del marzo 1774, quando morto il titolare Bernardino Ramondini, il beneficio venne assegnato a D. Carlo Branco. La rendita è di 3 ducati. Anche S. Marina, dunque, seguì nella distruzione gli altri monasteri campanesi. Della sua fabbrica oggi sono ancora visibili ruderi massicci e pietrame disperso. Intonro alla metà dell'Ottocento la chiesa divenne anch'essa ricettacolo e nascondiglio di favolosi tesori dei briganti. 
 
3. S. Giovanni La Fontana
Pur trovandosi in territorio di Campana, il monastero, o più precisamente l'abbazia, è sempre menzionato in diocesi di Cerenzia. Le notizie, comunque, sono così scarne ed imprecise da far dubitare della sua reale natura. Nel 1098, per esempio, la chiesa ( e non monastero) di S. Giovanni di Cerenzia figura tra le donazioni concesse dal conte Ruggero al monastero di S. Angelo e SS. Trinità di Mileto e che in quell'anno vennero confermate all'abate Urso. Analoga conferma degli stessi donativi venne fatta all'abate Roberto il 24 febbraio 1151 dal papa Eugenio III. Dopo queste notizie, su S. Giovanni La Fontana cade il più profondo silenzio. Se ne ritorna a parlare nel giugno 1593 per dire che la chiesa, o abbazia di S. Giovanni de Fonte , nel territorio di Campana, diocesi di Rossano, vacante per la morte di Giovanni Pietro Caligiuri, è assegnata a Marco Antonio de Conciliis (o Concili), prete diocesano. In quell'anno la rendita ammonta a 24 ducati. Due mesi dopo, il 17 agosto, l'arcivescovo di Rossano ed il Can. Agostino Graziano sono incaricati di prendere possesso della chiesa, considerata abbazia, di S. Giovanni "della Fontana", nella diocesi di Cerenzia o Cariati, in nome e per contro di Giovanni Antonio Graziano, cui era stata assegnata dopo la morte di Pietro Caligiuri. Non si fa cenno a Marco Antonio de Conciliis. Nel 1629 risulta che censi e decime dell'ex abbazia sono abusivamente goduti da altri, per cui l'arcivescovo di Rossano e il vescovo di Cariati con i rispettivi Vicari Generali sono allertati ed invitati a far restituire i beni al legittimo titolare Giulio Cropalati. Nel 1648 la chiesa è detta anche "beneficio semplice" ed è assegnata a D. Antonio Modio, prete di Umbriatico, dopo quasi 3 anni di vacanza. Al Modio succede Fabio Labonia, che nel 1656 vi rinuncia a favore di Alessandro Labonia. La rendita è diminuita a 18 ducati. Dopo una fase poco chiara di titolari, l'abbazia nel 1672 è in mano a Marco Antonio Cattaneo, che la mantenne fino al 1706, anno in cui muore a Roma. A lui succede Gabriele de Marchis, prete di Cassano Jonio. E' interessante, a questo punto, seguire la vicenda che vide coinvolti il de Marchis ed il Can. Pietro Benincasa di Cerenzia e di cui vennero investiti il Nunzio di Napoli ed il Segretario del Papa, Card. Paulucci. Il Benincasa contestava al de Marchis il possesso di S. Giovanni la Fontana perchè, a suo dire, l'abbazia era legata alla rendita del Penitenziere di Cerenzia, di cui lui era titolare. Per chiarire la vertenza venne incaricato l'arcivescovo di Rossano Andrea Adeodato, che ottenne il pieno riconoscimento del diritto dell'archidiocesi rossanese sul detto beneficio e di riflesso il rigetto delle pretese del Benincasa. Non potevano esserci ostacoli al pieno godimento del De Marchis nella rendita del beneficio. A questo punto, però, l'arcivescovo "col supporto di doversi rimborsare della spese della lite e di altre fatte nella ristorazione di una chiesa rurale del Beneficio, sequestrò le rendite", di modo che il titolare "sin dal 1708 non ha percetto alcun frutto". Sulla cosa il De Marchis nel 1713, dopo la morte dell'arcivescovo Adeodato, fece pervenire al Papa un Memoriale con cui chiedeva il dissequestro del beneficio. Il Nunzio di Napoli il 30 settembre venne incaricato dal Card. Segretario di Stato di seguire la vicenda: "Al Nunzio di Napoli. Trasmetto a V. S. l'annesso Memoriale, che è stato presentato a N. Sig.re per parte di Gabriele de Marchis, ad effetto ch'ella ne vegga il contenuto, e mi faccia giungere la sua informazione sopra di esso". Senza indugio, il Nunzio il 14 ottobre successivo chiede notizie al Vicario Capitolare di Rossano, Can. Scipione Britti. Questi il 27 ottobre fornisce le più ampie informazioni, che confermano le dichiarazioni del De Marchis sulla vicenda. Pur prendendo tempo, il Nunzio diede infine le informazioni assunte, per cui è da presumere che il tutto si sia concluso a favore del De Marchis. L'ultima notizia che ci risulta sul monastero è del febbraio 1777. In tale data è nominato titolare del beneficio semplice di S. Giovanni la fontana il campanese Vito Antonio Lupinacci, ancora diacono, succeduto ad Antonio De Marchis, morto da oltre un anno. La rendita si era ancora ristretta a 8 ducati. Da questo momento in poi non risultano altre notizie sul monastero.

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